Mettere in Pratica: La Chiave per una Comunicazione che porta Trasformazione
Mettere in Pratica: La Chiave per una Comunicazione che porta Trasformazione
Rev. Tony Cooke
Una volta nell’antica Grecia c’erano due grandi oratori: Cicerone e Demostene. Si dice che quando Cicerone finiva un discorso, le persone dicessero di lui: “Parla così bene!”; invece quando Demostene concludeva un’orazione, le persone esclamassero: “Marciamo!”.
Uno di questi due uomini parlava così bene che gli ascoltatori erano meravigliati per le sue abilità oratorie. L’altro spingeva gli uomini all’azione.
Quando noi pronunciamo verità bibliche, condividiamo semplicemente del contenuto (informazioni), oppure aiutiamo le persone ad agire, le equipaggiamo per mettere in pratica, con sapienza, le verità che comunichiamo loro? Quando ascoltiamo o leggiamo le Scritture, mettiamo insieme semplicemente dei fatti, o cerchiamo sapienza e direzione su come agire?
Forse questo è il motivo per cui Booker T. Washington disse: “Un grammo di pratica vale una tonnellata di teoria”. Winston Churchill riassunse il significato dell’applicazione pratica in questa affermazione: “E’ sempre più facile scoprire e proclamare dei princìpi generali che metterli in pratica". Recentemente è stato notato che la parte più importante della parola “dottrina” è formata dalle prime due lettere “do” (in inglese: “fare” – ndt).
Nel suo eccezionale libro (The Seven Laws of the Learner – Le Sette Leggi dell’Allievo – ndt), Bruce Wilkinson dedica un capitolo intero a “La Legge del Mettere in Pratica”. In questo capitolo egli dichiara: “… la mentalità biblica di un insegnante cristiano è di insegnare non solo il contenuto, ma anche la sua applicazione. Il contenuto fa riferimento al fatto, all’informazione e alla sostanza. L’applicazione fa riferimento alla sapienza, alla trasformazione e alla maturità. Il contenuto è ‘la cosa’, l’applicazione è ‘cio che facciamo con quella cosa’. Il contenuto è di solito ciò su cui si discute in classe, l’applicazione è fondamentalmente quello che si fa con ciò su cui si è discusso in classe. Il contenuto è centrato sulla ‘conoscenza’, l’applicazione è centrata sull’‘essere’ e sul ‘fare’”.
Se vogliamo eccellere nell’essere comunicatori biblici, dobbiamo stare attenti a come le persone potrebbero mettere in pratica ciò che diciamo. Noi non possiamo semplicemente adottare l’attitudine di chi dice: “La mia sola responsabilità è dare un’informazione; a quel punto dipende dall’ascoltatore decidere come applicarla”. I grandi comunicatori parlano con una visione rivolta all’applicazione.
Per esempio, i primi tre capitoli di Efesini si rivolgono prevalentemente al contenuto, all’informazione teologica, o alla “verità posizionale”, come alcuni l’hanno chiamata. In Efesini 1-3 troviamo delle verità quali:
• Egli ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti.
• Egli ci ha eletti in Lui prima della fondazione del mondo.
• Egli ci ha favoriti nell’amato Suo Figlio.
• In Lui abbiamo la redenzione per mezzo del Suo sangue.
• In Lui abbiamo ottenuto un’eredità.
• Egli ci ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù.
• Siamo stati sigillati con lo Spirito Santo della promessa, ecc.
Ma Paolo non si ferma lì. Nei successivi tre capitoli (Efesini 4-6), scopriamo come dobbiamo vivere alla luce delle verità che egli ha appena presentato. I credenti devono:
• Camminare nel modo degno della loro vocazione.
• Conservare l’unità tra di loro.
• Smettere di mentire.
• Smettere di rubare.
• Essere benigni e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandosi a vicenda.
• Camminare nell’amore.
• Non permettere che fornicazione, impurità, nè avarizia siano neppure nominate fra loro.
• Essere in relazione gli uni con gli altri in modo opportuno (marito-moglie, genitore-figlio, titolare-dipendente), ecc.
Nella sua introduzione al libro degli Efesini nella versione della Bibbia Message, Eugene Peterson scrive in modo molto eloquente: “Il rapporto fra ciò che noi conosciamo di Dio e ciò che facciamo per Dio si scinde in un momento particolare della nostra vita: quando l’unità organica tra la fede e il comportamento viene in qualche modo danneggiata, e noi diventiamo incapaci di vivere la pienezza dell’umanità per cui siamo stati creati. La lettera di Paolo agli Efesini ricongiunge ciò che è stato separato all’interno del nostro mondo distrutto dal peccato. Egli inizia con una vasta indagine su ciò che i cristiani credono di Dio, e a quel punto, come un chirurgo ricompone abilmente le parti di una frattura, egli ‘ricongiunge’ la fede in Dio al nostro comportamento nei Suoi confronti, affinchè le ossa – fede e comportamento – si rinsaldino e guariscano”.
Un ministero biblico responsabile comunica non solo le verità spirituali su chi siamo e su cosa abbiamo in Cristo, ma provvede anche guida e direzione verso una sana e appropriata applicazione di quelle verità. Sarebbe sbagliato dire alle persone: “Se smetterai di mentire e di rubare, Dio ti amerà”. Ma non è sbagliato dire alle persone: “Poichè Dio ti ha accettato grazie alla Sua misericordia e al Suo amore incondizionato, ci sono dei modi per esprimere adeguatamente la tua relazione con Lui, e questo include non mentire, non rubare, non fornicare, ecc.”. Questo è ciò che fece Paolo. Ha affrontato entrambi i lati della questione: contenuto e applicazione (o come ha descritto Peterson, fede e comportamento).
Occasionalmente, Paolo riconobbe che l’informazione (il contenuto) che egli aveva condiviso era stata male applicata. Ma non reagì con l’attitudine di chi dice: “Oh bene, io ho comunicato la verità. Se le persone la mettono in pratica nel modo sbagliato, è un loro problema”. No, Paolo andò oltre il necessario per assicurarsi che le persone non solo comprendessero il contenuto, ma che anche lo applicassero correttamente.
Mi vengono in mente tre esempi specifici:
Paolo comunicò ai credenti di Tessalonica che Gesù sarebbe ritornato. Alcuni di quei discepoli non solo credettero alle dichiarazioni di Paolo, ma siccome pensarono che Gesù sarebbe ritornato subito, in realtà lasciarono il proprio lavoro e cominciarono a occuparsi di cose vane. In una lettera successiva, Paolo confermò la fede sul fatto che Gesù sarebbe ritornato, ma suggerì di mantenere un comportamento appropriato (applicazione) relativamente a quella stessa convinzione. Disse loro che se le persone non volevano lavorare, non avrebbero neppure dovuto mangiare, e comandò loro che “mangiassero il loro pane lavorando quietamente” (2 Tessalonicesi 3:10-12).
Paolo aveva detto ai Corinzi di evitare di associarsi ad alcunchè di immorale, ma alcune persone apparentemente avevano interpretato in modo estremo le sue dichiarazioni e si erano dissociate completamente dalla società. In 1 Corinzi 5:10-11, egli chiarì ciò che intendeva o non intendeva dire: “ma non intendevo affatto con i fornicatori di questo mondo, o con gli avari, o con i ladri, o con gli idolatri, perché altrimenti dovreste uscire dal mondo. Ma ora vi ho scritto di non mescolarvi con chi, facendosi chiamare fratello, sia un fornicatore, o un avaro o un idolatra, o un oltraggiatore, o un ubriacone, o un ladro; con un tale non dovete neppure mangiare”
Paolo insegnò ampiamente che la salvezza è un dono basato sulla grazia di Dio, e che il fatto che Dio ci accetti non sia fondato sulle nostre opere o sulla nostra perfezione. Egli insegnò anche che non importa quanto grande sia il nostro peccato, la grazia di Dio è ancora più grande. Alcuni individui però distorsero l’insegnamento di Paolo al punto da attribuirgli un significato opposto: dichiararono cioè che il modo con cui noi conduciamo la nostra vita non comporta conseguenze, e che addirittura possiamo far aumentare la grazia di Dio nella nostra vita peccando di più! Paolo inorridì e si arrabbiò davanti al fatto che le persone avessero potuto pervertire a tal punto l’applicazione dei suoi insegnamenti, e chiarì quindi le sue affermazioni. In Romani 3:8 (NLT), disse: “E alcuni addirittura ci calunniano affermando che noi diciamo: ‘Più pecchiamo, meglio è!’ Coloro che dicono cose come queste meritano di essere condannati”. In Romani 6:1-2 poi riprese la spiegazione e, difendendosi, disse: “Che diremo dunque? Rimarremo nel peccato, affinché abbondi la grazia? Niente affatto! Noi che siamo morti al peccato, come vivremo ancora in esso?”.
Tutti questi esempi illustrano che per Paolo fosse importante non solo il contenuto; per lui era altrettanto decisivo anche il modo in cui le persone mettevano in pratica la verità. Quando leggiamo la Scrittura o ascoltiamo dei messaggi biblici, dobbiamo essere diligenti nel cercare di applicare in modo sano e appropriato quello che abbiamo udito. In altre parole, abbiamo bisogno di chiederci cosa dovremmo fare con le nozioni ricevute, in modo tale da metterle in pratica correttamente e quindi piacere a Dio.
Quando parliamo, dobbiamo essere accurati non solo nel dare alle persone informazioni, ma anche nel fornire esempi e illustrazioni sull’aspetto che i princìpi assumono quando si agisce adeguatamente su di essi. Ricorda: è il facitore, non l’uditore soltanto, che sarà benedetto (Giacomo 1:25).