Un Vangelo di Irresponsabilità?

Tony Cooke ItaliaUn Vangelo di Irresponsabilità?
Rev. Tony Cooke

Nel corso dei miei viaggi, mi sta capitando di sentire sempre più spesso un pensiero che circola all’interno del Corpo di Cristo riguardo a una “comprensione” della grazia che sembra stia facilitando e promuovendo un senso di irresponsabilità nelle persone. Alcune applicazioni di questo concetto includerebbero:

  • “A motivo del fatto che sono salvato per grazia, non importa se pecco oppure no, perchè Gesù si è già preso i miei peccati su di sè – essi sono già coperti per grazia”.
  • “Io non sono sotto la legge, quindi non devo dare la decima. Posso solo dare semplicemente quanto voglio”.
  • “Non è realmente importante che io frequenti o che io sia membro di una chiesa locale o no, purchè io sia una parte del Corpo Universale di Cristo”.

Prima di affrontare queste linee di pensiero, credo che sia importante riconoscere che alcune persone in passato abbiano operato secondo erronee percezioni di Dio. Queste persone sono state sottoposte a una forma di legalismo – a una schiavitù che le ha condotte a pensare di essere salvate per la fede in Cristo più qualcos’altro. A esempio: la fede in Cristo più il non commettere alcun errore; la fede in Cristo più il dare la decima; la fede in Cristo più il frequentare la chiesa perfetta o il fare buone opere. Facendo così, esse non hanno mai compreso nè riposato sul fatto che la nostra salvezza e il nostro perdono siano una questione di fede in Cristo più nient’altro.

Esse non hanno mai conosciuto la natura del dono di Dio o il vero riposo donato da Colui che ha detto (Matteo 11:28-30): “Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime. Poiché il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero!”.

Quando un individuo realizza: “Io sono salvato per grazia mediante la fede, e ciò non viene da me, ma è il dono di Dio…” lui o lei potrebbe maturare dei risentimenti riguardo a qualsiasi percezione precedentemente formata nei confronti di Dio quale “tiranno”… come Uno che in passato li avesse “spinti” o sottoposti a costrizione per assolvere certe richieste – per esserne all’altezza – al fine di essere accettati da Lui. Non appena essi però si liberano dalle catene di un tale modo di pensare legalistico, rischiano di finire nel fosso dall’altra parte della strada, pensando che qualsiasi tipo di disciplina o di obbedienza sia una forma di schiavitù, e che come tale debba essere rifiutata. In sostanza, buttano via il bambino insieme all’acqua sporca.

Paolo ha insegnato una dottrina molto profonda sulla grazia, ma non era una grazia che promuovesse l’irresponsabilità o una vita peccaminosa. La grazia, allora come adesso, è stata maleinterpretata e distorta. In Romani 6:1 e 6:15, Paolo chiese: “Rimarremo nel peccato, affinchè abbondi la grazia?” e “Peccheremo noi, perché non siamo sotto la legge, ma sotto la grazia?”. A entrambe le domande, Paolo rispose con un enfatico: “Niente affatto!”.

Paolo è stato così frainteso (io credo, in particolar modo, proprio riguardo alla grazia) che Pietro si riferì agli scritti di Paolo nel seguente modo: “Alcuni dei suoi commenti sono così difficili da comprendere, che coloro che sono ignoranti e instabili torcono le sue lettere per dare ad esse significati completamente diversi, esattamente come fanno con altre parti della Scrittura. E questo risulterà a loro perdizione” (2 Pietro 3:16, New Living Translation – ndt).

I Galati erano grandemente intrappolati nel legalismo, e Paolo desiderava ardentemente che essi comprendessero la grazia di Dio (Galati 2:16). Allo stesso tempo, però, lui non voleva che essi andassero all’altro estremo. Egli disse quindi a questo confuso gruppo di credenti: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà; soltanto non usate questa libertà per dare un’occasione alla carne, ma servite gli uni gli altri per mezzo dell’amore” (Galati 5:13).

L’epistola di Tito è stata chiamata “Il Libro delle Buone Opere”. In questa lettera scritta a un giovane pastore, Paolo ricordò a Tito che la sola grazia di Dio è la fonte della nostra salvezza (3:4-7): “Ma quando apparvero la bontà di Dio, nostro Salvatore, e il suo amore verso gli uomini, egli ci ha salvati non per mezzo di opere giuste che noi avessimo fatto, ma secondo la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo che egli ha copiosamente sparso su di noi, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Salvatore, affinchè giustificati per la sua grazia, fossimo fatti eredi della vita eterna, secondo la speranza che abbiamo.”.

Questo stesso libro, che mostra così chiaramente che le opere non sono la causa della nostra salvezza, chiarisce altresì palesemente che, al contrario, le opere (le buone opere) sono un risultato molto appropriato della nostra salvezza:

  • Tito 2:7 – “…presentando in ogni cosa te stesso come esempio di buone opere…”
  • Tito 2:14 – “…il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sè un popolo speciale, zelante nelle buone opere.”
  • Tito 3:8 – “…quelli che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a opere buone. Queste sono le cose buone e utili agli uomini.”
  • Tito 3:14 – “Or imparino anche i nostri a dedicarsi a buone opere per i bisogni urgenti, affinchè non siano senza frutto.”

Paolo – l’uomo che ha parlato di più di chiunque altro nel Nuovo Testamento riguardo alla grazia – stava dicendo a Tito di mettere i credenti sotto un tipo di schiavitù legalistica? Assolutamente no! Paolo comprese che la grazia, mentre impartiva il dono della vita eterna al credente sulla base dell’opera redentiva di Cristo, non era un tipo di porta di accesso alla pigrizia e alla rilassatezza per il credente, ma al contrario, un trampolino di lancio verso una vita di obbedienza. In effetti, la grazia (autorizzazione divina nelle nostre vite) provvede l’impeto – e ne è la base – alla nostra abilità di obbedire a Dio.

Paolo disse inoltre a Tito: “Infatti la grazia salvifica di Dio è apparsa a tutti gli uomini, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle mondane concupiscenze, perchè viviamo nella presente età saggiamente, giustamente e piamente…” (Tito 2:11-12). La vera grazia di Dio non è mai un permesso divino per compiere ciò che è sbagliato. Al contrario, è una responsabilizzazione divina per fare ciò che è giusto!

Come credenti, noi ci rallegriamo giustamente del Vangelo… della buona novella… della dichiarazione del fatto che “Dio ha riconciliato il mondo con sè in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli” (2 Corinzi 5:19). Ma a cosa ci introduce quel dono gratuito? A una vita di autoindulgenza? A una vita di irresponsabilità? Al conformarsi al mondo? A una vita di gratificazione carnale?

Io penso che il modo migliore per comunicare quello che Gesù avesse in mente, è tornare indietro e guardare al Grande Mandato che ci ha dato. Noi abbiamo tutti familiarità con la prima parte di quel comando (Matteo 28:19): “Andate dunque, e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…” Ma il versetto immediatamente successivo chiarisce il tipo di vita che Gesù intendeva che avessero coloro che ricevevano il suo dono gratuito… “…insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandato.. Gesù non disse: “…insegnando loro che non devono più fare nulla perchè ho già fatto tutto io”. Sì, Egli ha fatto tutto per quanto riguarda l’acquisizione della nostra salvezza per noi, ma a quel punto Egli ci ha chiamati a vite di fermezza, responsabilità e obbedienza.

E’ vero al 100% che le persone non hanno bisogno di vivere in santità per fare in modo che Dio le ami; Lui ci ha amato mentre noi eravamo ancora peccatori. E’ vero che le persone non hanno bisogno di dare la decima o di andare in chiesa per fare in modo che Dio le ami; Lui ci ha amato di un amore eterno indipendentemente dal nostro rendimento o dalla nostra perfezione. Ma ci sono buone opere e uno stile di vita santo al quale siamo stati chiamati, non per meritare la salvezza, ma per manifestare la salvezza.

Quando Paolo parlò a Tito riguardo alle buone opere, disse: “Queste sono le cose buone e utili agli uomini” (3:8). Noi abbiamo la responsabilità di vivere correttamente affinchè altri possano vedere la natura e il carattere di Dio. Noi abbiamo la responsabilità di dare la decima e di offrire generosamente affinchè altri possano udire il Vangelo. Noi abbiamo la responsabilità di essere coinvolti attivamente in una chiesa locale affinchè possiamo avere un luogo per servire e aiutare altri (così come per crescere personalmente). E’ assolutamente vero che è la grazia che ci salva e ci custodisce, ma quella stessa grazia non ci condurrà mai a vivere vite irresponsabili e autoindulgenti!

Faremmo bene a ricordare le parole di Dietrich Bonhoffer, teologo protestante e attivista antinazista, che disse: “La grazia a buon mercato è predicare il perdono senza richiedere il pentimento, predicare il battesimo senza la disciplina di chiesa, la comunione senza la confessione, l’assoluzione senza la personale confessione. La grazia a buon mercato è la grazia senza il discepolato, la grazia senza la croce, la grazia senza Gesù Cristo, vivente e incarnato”.

Possa tu avere sapienza sia nel ricevere che nel manifestare questo dono indescrivibile di Dio!